di Giulio Scognamiglio
Parole in ritirata è ricomparso nella mia libreria dopo almeno venti anni.
Un piccolissimo libro di scritti “raccolti nei cessi” da parte di Mauro Pedretti, edito da Campus il giornale della Università e della Ricerca.
Costava mille lire e si trovava nei banchetti domenicali o nelle librerie vicino a "La Sapienza”.
E sempre in queste ore ho iniziato a fare caso alle scritte sui muri, mentre giocavo a basket in un sabato sornione al parco Europa di Priverno.
Una maggiore consapevolezza per il tratto veloce lasciato su un muro che era esso stesso volontà di dire o lasciare una propria verità. Ci sono citazioni e dichiarazioni, ma anche libelli infamanti (di cui la paleografia ha sempre fatto oggetto di studio approfondito), segnali della propria presenza come per cancellare la paura del non essere visto, di passare attraverso l’invisibilità di un modo sempre così veloce e lontano dal gesto della fratellanza.
Io sono qui e non è vero che non ci sono mai stato. Sono passato, ho amato, pianto, sognato e gioito, sperato che qualcuno di accorgesse di me.
I segni possono essere violenti, dissacranti o massacranti verso un oggetto, una panchina o un albero, ma spesso (ma oserei pensare quasi sempre) trovano spazio su muri grigi, ferri arrugginiti o travi di legno solido che possono sostenere la fatica del “sé” altrui.
Spesso si risponde alla scritta e si risponde alla risposta alla scritta e così via, in un turbinio sgomitante, per affermare la propria idea o il proprio dolore, ma anche dolcezza o ironia.
Mi piacerebbe osservare da vicino, omettendo il giudizio, palesandomi come uno di loro, quando avviene questa azione creativa.
Troppe volte ho creduto di saperne il motivo, inventandomi “comprensologo” di seconda mano, veloce nel puntare il dito, immaginando la sinapsi geminale di tale atto altrui.
Passerò più tempo a leggere il contenuto e a osservare il tratto in silenzio, per sentire (e non pensare) ciò che mi arriva e non per capire se è vero o no che “Pasquali è stato qui”, perché l’urgenza di alzare la mano e dire “ci sono anche io” è l’unica verità possibile.
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