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Riflessioni da DANTEdì

di Andrea Pasquali

Assumiamo per accostamento semantico che l’autore intenzionale di fake news sia

“persona che sorprende la buona fede altrui, che in qualche misura imbrogli e che raggiri il prossimo”.

E’ o non è una definizione calzante? Bene.


Stando alla definizione del dizionario avremmo allora di fronte un imbroglione, un disonesto, un fraudolento, ovvero uno che, almeno secondo Dante Alighieri, dovrebbe soffrire per l’eternità le pene più atroci nell’VIII cerchio dell’Inferno.

E qui, tra falsari incalliti, adulatori, barattieri, ipocriti di ogni sorta, ladri e simoniaci, ci piace pensare che due categorie dantesche rispondano meglio alla definizione di autore intenzionale di fake news: i falsari di parole e i seminatori di discordia.


Ora, non è nostra intenzione condannare nessuno alle pene dell’Inferno. Per carità! Non rientra tra le nostre peculiarità esprimere giudizi o condanne eterne (d’altronde finché si è in tempo c’è sempre modo di ravvedersi).

Tuttavia, sarebbe interessante in questa giornata a lui dedicata analizzare i casi usati dal Sommo Poeta come paradigma di fraudolenza e cogliere affinità e discordanze con il nostro punto di vista. In poche parole: esercitare il pensiero critico.


Cominciamo.


Uno dei seminatori di discordie che Dante colloca nella IX Bolgia dell'VIII Cerchio è Bertran de Born, trovatore provenzale vissuto tra il 1140 e 1215. Secondo Dante, il poeta provenzale sarebbe stato responsabile della rottura ideologica e affettiva tra Enrico il Giovane e suo padre Enrico II (re d’Inghilterra, padre, tra gli altri, del più noto Riccardo Cuor di Leone). La responsabilità attribuitagli appare quanto più grave ed evidente grazie a un parallelo innestato da Dante stesso con la vicenda biblica di Achitolef, re Davide e Assalonne. In entrambi i casi appare evidente che la disonestà e l’ipocrisia hanno generato divisione tra padre e figlio (fatto già di per sé moralmente grave), ma questa rottura ha rappresentato reato ancora più grave perché ha fatto sì che guerre, distruzioni e carestie si abbattessero di conseguenza su intere popolazioni.

Un’altra figura, rea di aver seminato discordia e perciò presa da Dante come paradigma, è Caio Curione, corrotto tribuno della plebe che secondo il racconto di Lucano avrebbe spinto Cesare a varcare il Rubicone nel 49 a.C, dando così inizio alla Guerra civile romana. Anche qui un popolo che subisce conseguenze gravose per le mire personalistiche di un individuo spregiudicato.


Passiamo ora ai falsari di parola per analizzare la figura di Sinone il greco che, secondo il

mito classico, avrebbe ingannato i Troiani con il falso racconto del cavallo di Troia (Eneide II, 147 ss.).

Sinone, dunque, è la spia che i Greci avrebbero lasciato a Troia quando finsero di togliere l’assedio alla città. Egli aveva il compito di convincere Priamo a far entrare il cavallo nelle mura della città e di avvertire poi i suoi nel momento in cui i troiani si fossero convinti a farlo. Anche qui: non si tratta semplicemente dello spergiurare e della falsa testimonianza, ma delle conseguenze catastrofiche che ne seguirono.

A questo punto ne abbiamo a sufficienza per fare delle considerazioni sull’epoca che viviamo e sul tema che più ci sta a cuore.

Vi propongo, perciò, due domande che mi sorgono spontanee: Secondo voi ci sono sostanziali differenze tra i fraudolenti citati da Dante e gli autori intenzionali di fake news?

E inoltre: Sulla base degli esempi forniti da Dante, chi mettereste voi nell’VIII cerchio dell’Inferno, dovendo scegliere tra i personaggi della storia e delle letteratura degli ultimi 100 anni?


 

Il sostegno della Commissione europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un'approvazione del contenuto, che riflette esclusivamente il punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per l'uso che può essere fatto delle informazioni ivi contenute.



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