di Andrea Pasquali
Il rapporto conclusivo dell’audit di comunità realizzato dal progetto Wires-crossed rivela cose molto interessanti. Intanto una verità innegabile: “L’esaltazione della velocità, la scarsa accuratezza nella lettura delle fonti originali, la perdita di luoghi di elaborazione e di confronto, ma anche la perdita di credibilità delle fonti autorevoli, rappresentano criticità rilevanti”(ibidem p. 20).
Pensandoci bene la società odierna produce una grande mole di informazioni e per la maggior parte dei casi si tratta di informazioni poco accurate. Spesso si tratta di prodotti confezionati in fretta e furia per “arrivare per primi” e vendere la notizia.
A ciò si aggiunge un dato allarmante che riguarda gli stessi fruitori dell’informazione. Recenti studi di psicologia comportamentale, infatti, rivelano che esistono sempre più casi di Information Overload, ovvero di persone che hanno, rispetto al desiderio di essere informate, un atteggiamento perfino compulsivo.
Va da se che queste persone non provano alcun interesse nel convalidare una notizia andando a cercare le fonti originali.
Accade così, con estrema facilità, che una semplice fake news passi da cellulare a cellulare, voli di bocca in bocca, da una casa ad un’altra e che sia capace, a volte, di scuotere la coesione sociale e di destabilizzare persino il processo democratico.
Che c’è, non ne siete convinti? Vi sembra forse un’esagerazione?
Torniamo per un attimo con la mente a un anno fa. A partire dalle prime fasi della pandemia di covid-19, sui social sono circolate bufale di ogni tipo. Contagio attraverso il contatto con animali domestici, mancato pagamento degli stipendi per i mesi di marzo e aprile, lancio di disinfettanti durante la notte per contrastare il virus, trasmissione attraverso le scarpe, il virus sopravvive 9 giorni sull'asfalto, cisterne che trasportano il virus Covid-19 con tanto di insegna.
Ve ne ricordate?
In tutti questi casi l'azione combinata di una cattiva informazione, insieme al desiderio di capire cosa stesse realmente accadendo (che poi si è tradotto nella maggior parte dei casi in una raccolta spasmodica di quante più notizie possibili, senza convalida attraverso le fonti) ha prodotto angosce , apprensioni, preoccupazioni e ansie spesso immotivate. In una parola :destabilizzazione.
Chi sa che la soluzione a questi problemi di disinformazione non sia questa volta una soluzione di carattere culturale? Che la soluzione non stia proprio nel diffondere capillarmente conoscenze, abilità e competenze multimediali? Che non stia nella creazione di spazi, anche virtuali, dove ci si soffermi a ragionare?
Il sostegno della Commissione europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un'approvazione del contenuto, che riflette esclusivamente il punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per l'uso che può essere fatto delle informazioni ivi contenute.
コメント